Ajāpa:
il praṇava (la sacra sillaba om) interiore, avvertibile per mezzo del
japa (la ripetizione di un mantra); il suono interiore dell’om, il suono primordiale, la vibrazione
vitale che permea l’universo, che si fa evidente con la pratica spirituale.
I
frammenti di ciò che è sparso sono ovunque, non tutti hanno gli occhi, le
orecchie ed il cuore per raccoglierli nella propria interiorità e pazientemente
assemblarli alla guisa di un mosaico. La distinzione tra cultura, meglio, fra
tradizione occidentale ed orientale è data dalla limitatezza del punto di
osservazione, dalla incapacità di rischiare e incamminarsi sulla Via. La
Tradizione: è una, molteplici le sue manifestazioni per permettere alle diverse
incarnazioni di avvicinarsi alla Via. Che sia sud o nord, est od ovest poco
importa. E se si è ad occidente bisogna riuscire a trasmutare quanto vi è di
“utile per la cerca” in oriente e viceversa. Chi cammina nudo sui cocci od
attraverso i roseti, inevitabilmente avrà modo di esperire ferite e tagli,
inevitabilmente rischierà di pungersi con la rosa. Senza rosa, senza la
“puntura” della sua spina non si può essere nella Via. Non è sufficiente
attendere, bisogna saper attendere. L’attesa, da certi punti di vista paragonabile
al silenzio dei neofiti di molte scuole iniziatiche, non è una azione statica,
ma dinamica. Dinamicità che prevede l’uso della volontà, naturale conseguenza
del desiderio e della disciplina. Chi è nel mito è rito. Molteplici le strade da
seguire. Verso l’alto che è come il basso, verso l’esterno che è come
l’interno. L’interiorità spesso frammentata in molteplici parti. Alcune celate
perché l’individuo possa ricordare quanta oscurità regna nell’essere, per
ricomporre il puzzle, per ricomporre ciò che è sparso bisogna conoscere anche
quanto vi è di più orrendo, e giungere a quanto vi è di più atavico e
“originale”, bisogna sgrezzare ed eliminare ogni sovrastruttura consci che
queste unitamente a quanto è nascosto e dimenticato sono al tempo stesso limite
e protezione. Quanto
ha creato il manifesto e il non manifesto, ha generato secondo suono, numero e
parola a loro volta genitori di quel numero, peso e misura che si incontrano il
alcuni testi sacri o mitologici. La parola nella sua forma più debole
costituisce il mezzo per la comunicazione tra gli esseri umani, nella sua forma
più forte, più autentica, l’autenticità spesso è sinonimo di virilità, è una
delle manifestazioni della potenza pronta a tramutarsi in atto o semplicemente
a sancire. La parola in questa accezione muore a se stessa per diventare altro
da sé, suono o vibrazione.
Tutta
la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli
uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si
dissero l'un l'altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il
mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: «Venite,
costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un
nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la
città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco,
essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della
loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile.
Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno
la lingua dell'altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi
cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il
Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su
tutta la terra. Genesi 11, 1-9
E’
forse questa la lingua? E’ forse un omaggio un tentativo di tornare a Migdol Bavel? No, bisogna tornare ancora
più indietro se si usa un sistema esistenziale e di pensiero di tipo
cronologico, bisogna danzare altre danze se si è più vicini al suono delle
stelle. Le culture, gli epigoni dei Padri, disperi nello spazio e nel tempo
hanno tentato di spiegare l’inspiegabile, alla meglio allo potuto indicare e
gesti e parole spezzate. Eppure della lingua, per il danzatore di Sophia, vi sono tracce e segni ovunque
nel cammino. Che essa assuma vari nomi è solo parte del gioco. Che essa sia
Lingua degli uccelli o Gaia scienza o lo schiocco della lingua in una delle
lingue dell’africa o la sacra sillaba fa poca differenza. Ovunque vi sono
tracce da seguire ed insegnamenti da prendere, in questo il silenzio del
neofita accompagna sempre i Maestri e gli occhi dell’infante sono i loro occhi.
Danzando senza pregiudizio, aprendo il cuore e gli stadi e “strati” dell’essere
si può arrivare a sentire il suono, la prima vibrazione. Parteciparne è un
“miracolo”, miracolo dinnanzi al quale bisogna farsi sacerdoti dell’unica
religione possibile (Religione non intesa come re-ligare ma come re-legere).
Gioia – Salute - Prosperità
© Michele Leone
P.S. oggi niente
immagini ma “qualcosa” da ascoltare durante la lettura.
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