lunedì 27 maggio 2013

MERAVIGLIOSO O FANTASTICO? L'immaginario nella letteratura Medievale Parte II

La seconda ed ultima parte del post iniziato sabato.

Passando velocemente ad una breve osservazione di Rossana Brusegan sui Fabliaux francesi medievali, si noterà come anche in queste brevi storie il ricorso al meraviglioso è quasi inevitabile: "Realtà e irrealtà si fondono infatti in iperrealismo nell'atmosfera notturna delle notti d'inganni, negli effetti fantastici-mostruosi della descrizione del villano carico di vits e della moglie di cons presi in una priapica metamorfosi, nella minuziosa descrizione dei membri entro la cornice evanescente del folle sogno, in quella delle morti cruente da Grand Guignol dei preti portati a seppellire da Estormi, negli effetti grotteschi della finta morte del villano di Bailluel. Quello che importa è lo stupore, la meraviglia e la sorpresa".[1]
Sul concetto di meraviglioso come altro e come qualcosa che rimanda ad un passato troppo lontano per dare dimostrazione di ciò che esisteva nuovamente il pensiero di Poirion potrà esserci d'aiuto: "Il meraviglioso è dunque legato alla stranezza di un desiderio, in quanto timore letterario ci rimanda a un desiderio di timore. Il ricorso ad una tradizione diversa permette di affrancarsi dalle norme morali, sociali o scientifiche. La stranezza del desiderio colto nella proiezione immaginaria del meraviglioso si confonde con la figura dell'altro, dello straniero, di una creatura venuta da un altro mondo, dall'Altro Mondo. In concreto, le forme del meraviglioso che si radicano nella nostra letteratura provengono dunque spesso dal di fuori e chi le indaga vi riconosce gli elementi di un sistema culturale diverso che si organizzano all'interno del nostro. Il meraviglioso spiega allora come la <<ricezione>> di un'altra cultura da parte della cultura comune di fronte alle manifestazioni di credenze diverse. Il meraviglioso infatti non si dà immediatamente come credibile, ma ci rimanda a un passato o a un altrove in cui quelle manifestazioni sarebbero state credute. Miti arcaici, mitologia antica, leggende celtiche si scontrano con altre figure considerate storiche. Il meraviglioso mette in risalto la differenza delle altre storie rispetto alla Storia".[2] Questo rimando del meraviglioso a qualcos'altro, lo troviamo per esempio in Isidoro di Siviglia[3], quando nei capitoli delle Etymologie dedicati a mostri, portenti e trasformati include esseri che fanno parte della mitologia classica.
"... Quando le metamorfosi delle forme e dello spirito scatenano la fantasia e l'immaginazione, ecco che ritroviamo il mostro e la bestia, le stesse divinità dell'Olimpo rivestono spesso un carattere selvatico, quasi animale. Con questo spirito vi ha generalmente attinto l'iconografia romanica. Il fenomeno ricompare nel Duecento e si sviluppa con il disgrgarsi del classicismo gotico. L'Antichità mostruosa si sostituisce progressivamente all'Antichità umanista. La mitologia moralizzata si snatura".[4] Il meraviglioso potrebbe essere il linguaggio, ermetico e limitato, della società medievale, atto ad esprimere i suoi sogni, i suoi desideri e le sue proteste.[5]
"Le pietre incise con queste effigi (mostruose) avevano indubbiamente dei poteri magici. Una forza sovrannaturale sgorga dallo spostamento, dalla ripetizione, dalla dilatazione mostruosa e dalla mescolanza delle forme viventi. Secondo il Blanchet, la parola 'accrescimento che accompagna un grillo e la frequenza delle teste d'ariete indicherebbero che questi amuleti avevano a che fare con la fertilità e la ricchezza".[6]
Per l'origine della parola meraviglioso Le Goff potrà esserci d'aiuto: "E poi, c'è il problema dell'etimologia. Con il termine mirabilia ci troviamo di fronte ad una radice mir (mirir, mirari) che comporta qualcosa di visivo. Si tratta di un guardare. I mirabilia naturalmente non sono solo cose che l'uomo può ammirare con gli occhi, cose davanti alle quali si spalancano gli occhi; originariamente, però, c'è questo riferimento all'occhio che mi pare importante,  in quanto tutto un immaginario può organizzarsi attorno a questo richiamo ad un senso, quello della vista, e attorno a una serie di immagini e metafore che sono metafore visive. Se pensiamo allo spesso citato libro di Pierre Mabille, Le Miroir du merveilleux (1962), siamo indotti a fare un accostamento particolarmente pertinente per l'Occidente medievale fra mirari, mirabilia (meraviglia) e miror (benché il latino abbia qui speculum, da cui l'italiano <<specchio>>; ma il francese ristabilisce le parentele) e tutto quello che un immaginario e una ideologia del <<miroir>>-specchio possono rappresentare... Una indagine sul meraviglioso nel mondo medievale non può trascurare l'apporto delle lingue volgari. Ancora una volta mi limiterò qui a un'osservazione molto semplice, ma fondamentale: quando le lingue volgari affiorano, e diventano lingue letterarie, il termine meraviglia compare in tutte le lingue romanze ed anche in inglese. Non esiste invece nelle lingue germaniche, dove il campo del meraviglioso si articolerà piuttosto attorno al Wunder".[7]
Bisogna tener presente un'altro elemento per tentare di comprendere la mentalità che è in grado di cogliere e far suo il meraviglioso, ovvero, la "nascita" nel Medioevo di un occhio e di un orecchio interni pronti a cogliere e comprendere la verità eterna, questi organi vedono e sentono, agiscono nel mondo delle immagini.[8]
Tra le varie immagini dobbiamo prendere in considerazione quelle che per questo studio sono fondamentali (Due sono i tipi di immagini che a noi interessano in particolar modo. Le prime sono quelle letterarie che possono essere viste solo con l'occhio dell'immaginazione da parte del lettore dei Bestiari e di altre opere del genere. Le seconde sono quelle che chiunque poteva e può vedere nelle sculture delle chiese o nei dipinti sacri e profani). "La rinascita dei cicli dell'inferno, delle creature deformi, degli esseri favolosi che si moltiplicano nei Bestiari, nei margini dei manoscritti o nella decorazione scultorea, e il reintegrarsi di tutto un mondo fittizio all'interno del mondo vivente, alterano l'unità dei temi e dei principi della prima fase di questa genesi. Essi fanno rivivere allo stesso tempo le fonti che hanno sempre alimentato le fantasie e le leggende: l'Antichità classica e l'Oriente."[9]


[1] AA.VV. Fabliaux. Racconti francesi medievali, A cura di R. Brusegan, Giulio Einaudi editore, Torino 1980, p. XIV.
[2] D. Poirion, Op. cit. pp. 4-5.
[3] Isidori Hispalensis, Etymologiarum sive Originum  libri XX, P.L.?
[4] Baltrusaitis J., Op. cit., pg,43.
[5] Cfr. Anonimo, Liber monstrorum, Intr., ed., vers., e comm. di F. Porsia, Dedalo Libri, Bari 1976, pp. 35 e ss.
[6] Baltrusaitis J., Op. cit., pg. 52.
[7] J. Le Goff, Op. cit. p. 6.
[8] Cfr. J. Le Goff. L'immaginario medievale, trad. it. di A. Salomon Vivanti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1993.
[9] J. Baltrusaitis, Op. cit. p. 39.

sabato 25 maggio 2013

MERAVIGLIOSO O FANTASTICO? L'immaginario nella letteratura Medievale ParteI

La prima parte di un lavoro sull'estetica medievale ed i bestiari



MERAVIGLIOSO O FANTASTICO?

L'immaginario nella letteratura Medievale


In questa prima parte, si ritiene necessario definire la differenza tra meraviglioso e fantastico all'interno della letteratura medievale.

Questa distinzione è utile sia per il lavoro ermeneutico che verrà fatto sui bestiari, sia per definire con la maggior chiarezza possibile il concetto di meraviglioso.

"Il <<meraviglioso>>: si tratta in primo luogo di sapere che cosa noi intendiamo per meraviglioso e di capire in secondo luogo come gli uomini del Medioevo intendevano ed esprimevano quello che noi oggi chiamiamo meraviglioso. Nell'Occidente medievale esisteva un termine corrispondente. In ambiente colto era d'uso corrente nel Medioevo il termine mirabilis, che aveva più o meno lo stesso significato del nostro aggettivo. Dobbiamo tuttavia rilevare che i clerici del Medioevo a voler essere precisi non possedevano una categoria mentale, letteraria, intellettuale, che ricalchi esattamente quello che noi chiamiamo il meraviglioso. Al nostro <<meraviglioso>> corrisponde piuttosto il plurale, mirabilia. Se si può dunque riconoscere una continuità di interesse fra il Medioevo e noi per un medesimo fenomeno che chiamiamo <<il meraviglioso>>, dobbiamo osservare che là dove noi vediamo una categoria - una categoria dello spirito o della letteratura -, gli uomini colti del Medioevo e quelli che da loro ricevevano la propria informazione e formazione vi vedevano, certo, un universo - e questo è molto importante -, ma un universo di oggetti, una collezione più che una categoria"<!--[if !supportFootnotes]-->[1]<!--[endif]-->.

"Per la letteratura esemplare sembra più conveniente impiegare il termine meraviglioso, intendendo con esso la dimensione del sovrannaturale, sia esso folclorico o cristiano. Nella mentalità medievale il meraviglioso fa parte integrante dell'universo, si incontra e si confronta con la sfera dell'esperienza quotidiana, suscitando spesso effetti di un sublime grottesco. Il patto sotteso tra narratore e destinatario dei racconti esemplari, fondato sulla comune credenza nel sovrannaturale, elimina alla radice la possibilità di quella vertigine epistemologica, di quella  <<crispation du rationalisme>>, in cui risiede il fascino peculiare della letteratura fantastica moderna. Posto di fronte ad un evento meraviglioso il lettore medievale deve decidere non già se esso sia verisimile, ma se esso ricada nella categoria dei mirabilia naturali, o non sia piuttosto un miracolo, o una diablerie, cioè un finto miracolo, costruito dalla scienza diabolica mediante la manipolazione dei processi naturali. Angeli, santi e demoni per dirla con Le Goff, sono le <<milizie cristiane del meraviglioso>>, alle quali spetta il compito di orientare e di rendere significativo l'ordine banale della vita quotidiana".<!--[if !supportFootnotes]-->[2]<!--[endif]-->

Da questa pagina di Delcorno emerge un dato per noi fondamentale,  quello della quotidianità del meraviglioso per l'uomo medievale. Quotidianità che dimostra l'esistenza di una mentalità del fantastico in generale e del meraviglioso in particolare. E se per Le Goff più che di categoria è opportuno parlare di universo, di collezione di oggetti, noi tenteremo di verificare, allora, se questo universo può essere una categoria. Lo scopo di questo capitolo è quello di far emergere l'"abitudine" mentale al meraviglioso, al fantastico negli uomini del Medioevo Occidentale. 

" Il Medioevo non rinuncerà mai al fantastico. Vi ritorna senza posa nel corso della sua evoluzione, ora facendo rivivere le sue forme primitive, ora arricchendole con sistemi nuovi".<!--[if !supportFootnotes]-->[3]<!--[endif]-->

Il fantastico può cambiare modo espressivo,  si evolve, si trasforma e rimodella, ma è sempre presente nella cultura medievale". La rinascita dei cicli dell'Inferno, delle creature deformi, degli esseri favolosi che si moltiplicano nei Bestiari, nei margini dei manoscritti o nella decorazione scultorea, e il reintegrarsi di tutto un mondo fittizio all'interno del mondo vivente, alterano l'unità dei temi e dei princìpi della prima fase di questa genesi. Essi fanno rivivere allo stesso tempo le fonti che hanno sempre alimentato le fantasie e le leggende: l'Antichità classica e l'Oriente".<!--[if !supportFootnotes]-->[4]<!--[endif]--> Dieci secoli nei quali possiamo individuare una sicura costante, questo universo che ha come prerogativa l'insolito e forse per questo motivo entra sì prepotentemente nel quotidiano.

Sul rapporto e sulle differenze tra il fantastico ed il meraviglioso nella letteratura del Medioevo Occidentale può essere interessante il discorso fatto da Poirion nell'introduzione al suo Il meraviglioso nella letteratura francese del Medioevo<!--[if !supportFootnotes]-->[5]<!--[endif]-->: " Tuttavia i teorici del fantastico, nella loro <<poetica>>, hanno dato scarsa rilevanza alla féerie medievale. Northrop Frye, Roger Caillos, Tzvetan Todorov considerano lo strano e il meraviglioso come qualità marginali rispetto al fantastico, valorizzato dal mistero che introduce nella realtà.

Queste distinzioni risultano assai meno pertinenti se si cerca di utilizzarle per spiegare Chrétien de Troyes, Maria di Francia o il Lancelot en prose. In tal caso le opere qualificate come  <<meravigliose>> (la parola meraviglia esprime spesso il giudizio dell'autore) corrispondono esattamente alle forme che, quando ricorrono nell'iconografia gotica, lo storico dell'arte Jurgis Baltrusaitis designa col termine di fantastiche. In effetti lo strano, il meraviglioso, il fantastico indicano lo stesso fenomeno, ma visto secondo le diverse prospettive della psicologia, della letteratura e dell'arte. Se poi consideriamo il fenomeno in se stesso, possiamo definirlo come la manifestazione di uno scarto culturale fra i valori di referenza, che servono a stabilire la comunicazione fra l'autore e il suo pubblico, e le qualità di un mondo altro. Dato che il nostro oggetto è la letteratura, ci serviremo del termine meraviglioso per designare la presenza di tale alterità nelle opere medievali, senza rinunciare, in parallelo, a cercare la percezione di una stranezza su cui si fonda o l'apertura verso un immaginario fantastico che le dà forma."<!--[if !supportFootnotes]-->[6]<!--[endif]-->.
Michele Leone

<!--[if !supportFootnotes]-->

<!--[endif]-->
<!--[if !supportFootnotes]-->[1]<!--[endif]--> J. Le Goff, Il meraviglioso e il quotidiano nell'Occidente medievale, Editori Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 5-6.
<!--[if !supportFootnotes]-->[2]<!--[endif]--> C. Delcorno, Illusione diabolica e meraviglioso quotidiano nell'<<exemplum>> medievale, in Gli universi del fantastico, a c. di V. Branca e C. Ossola, Vallecchi Editore, Firenze 1988, pp. 238-239.
<!--[if !supportFootnotes]-->[3]<!--[endif]--> J. Baltrusaitis, Il Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell'arte gotica, Adelphi, Milano 1994, p. 39.
<!--[if !supportFootnotes]-->[5]<!--[endif]--> D. Poirion, Il meraviglioso nella letteratura francese del Medioevo, trad. it. di G. Zattoni Nesi, Giulio Einaudi editore, Torino 1988.

mercoledì 22 maggio 2013

sulla virtù

Da un catechismo carbonaro, ma che può essere di riferimento per tutti:

D. Cosa significa la scala?

R. Che alla virtù, la quale in alto è collocata si giunge per gradi.
 
da un catechismo  per un B...C...C...
 
 
 
 

lunedì 20 maggio 2013

METUSCHELAH: La Rinascita dell’Uomo

Ho trovato la bozza della mia prima conferenza tenuta nel 1995 o giù di li... ora sono certo che non la perderò..


METUSCHELAH:  La Rinascita dell’Uomo

 

            Il lavoro che ho intenzione di presentarvi, nasce più da riflessioni di tipo teoretico che da ricerche storiche. Anche se storia e storiografia sono state per me quello che fu Virgilio per il “POETA” nella Commedia.

                Userò a modo di prologo le belle parole di Gioacchino: “ Non è una fatica da poco quella che in questi giorni ci attende. Ma per queste incombenze chi sarà adatto? Infatti, forse colui che potrebbe rifiuta, mentre colui che vorrebbe non ne è in grado; a chi appartiene l’eleganza del discorso, manca la scienza, a chi è concesso il sapere, è negato il dire appropriatamente. Così, dunque, nessuno sarebbe adatto. Ma forse tutti vanno giustificati allo stesso modo? Colui che non sa, sebbene non per trascuratezza o per negligenza, ha una scusante, o del tutto degna di fiducia o, comunque, plausibile; Colui a cui è concesso di conoscere, anche se in parte, non ne ha nessuna o quasi nessuna. Ma forse, giacché dico queste cose, io mi attribuisco una delle due eventualità, di modo che avrei la presunzione di arrogarmi il merito della scienza? Assolutamente no. Piuttosto io, che mi riconosco nell’una del tutto insufficiente, nell’altra temo molto il giudizio. Poiché, anche se non posso credere di essere sapiente, se non per stupidità, tuttavia non potrei scusarmi di ignorare ciò che sono tenuto a dire, se non per falsità. Parlerò, quindi, come potrò, nel caso contrario indicherò con dei cenni. E se non posso imitare gli uomini, imiterò l’animale senza intelligenza, o altrimenti l’uomo privo di parola, che a cenni va indicando ciò che ha visto. “[1] .

            Quello di cui vi voglio parlare è il sogno delle utopie, che va da Platone a Campanella ed anche oltre, in altri termini il tentativo di realizzare un mondo migliore il mondo dell0’armonia e della pace. Nella maggior parte dei testi sullo “Stato”[2] scritti da filosofi e uomini di scienza, sono presenti due fattori che potremmo definire fissi. Questi due fattori sono: 1° la presenza di un capo o di un insieme di uomini illuminati 2° un’intera popolazione che ha avuto modo di evolversi e che si autogovernano scegliendo democraticamente i propri capi. Cosa vogliono indicarci questi due fattori?  Il primo rappresenta un tipo di civiltà che ha ancora bisogno di una guida per evolversi; il secondo rappresenta civiltà già avanzate, ovvero che non hanno più bisogno di guide, ma di rappresentanti. Comunque, sia nel primo che nel secondo fattore c’è qualcosa di comune, ovvero il raggiungimento di una meta, che in base agli elementi che abbiamo e poco nota, che porti o il capo o l’intera popolazione ad un’evoluzione. Questa evoluzione è la presa di coscienza di qualche cosa. Il nostro scopo in questo momento è quello di andare a verificare quello che accade e rende presente ed operante questa presa di coscienza.

            Per affrontare questa indagine ci distaccheremo dalla pista storica per entrare in quella teoretica. Cosa permette ad un soggetto o ad un insieme di soggetti di innalzarsi e desiderare un mondo antitetico o quasi a quello nel quale vivevano prima? Le risposte potrebbero essere molteplici, ma a noi interessa una in particolare. Dal nostro punto di vista solo la conoscenza e quindi la conoscenza filosofica in senso stretto, possono permettere al soggetto di arrivare a concepire un mondo diverso da quello della sopraffazione. Prima di andare avanti è opportuno soffermarci un momento su quello che significa conoscenza filosofica o quanto meno il significato che attribuiamo al termine filosofia in questo ambito. Per noi parlare in questa sede di filosofia e di conoscenza filosofica in senso stretto equivale a dirsi amore per Sofia e amore per Sofia rappresenta il percorso che porta il soggetto da essere semplicemente un ricercatore di qualche cosa a essere uomo rinato dopo la morte. Cosa significa rinascita? La rinascita alla quale ci stiamo riferendo è la rinascita dopo di tutti coloro che muoiono dentro se stessi, che sacrificano la loro coscienza per far si che una volta liberato il cuore da inutili sovrappesi il soggetto rinasca Uomo. A questo stato di cose l’Uomo purificatosi dalle nefandezze che fino a quel momento lo avevano accompagnato deve prendere atto di un’altra cosa. In lui si è sviluppato JERED ( Il Cristo che nasce e si sviluppa dentro di noi ). A questo punto abbiamo un Uomo che oltre ad aver raggiunto la conoscenza filosofica, sviluppa dentro di se quello che in ebraico si chiama Jered, ma che nel Nostro Rinascimento un Domenicano chiamò Eroico Furore[3]. L’accostamento può sembrare audace e forzato, ma in realtà a livello concettuale le due cose sono simili. Ovvero, sia l’uno che l’altro concetto spingono  l’uomo verso la Fratellanza, l’Uguaglianza e la Libertà di pensiero ( con tutto quello che implicano ) e lo spingono alla difesa dei propri ideali fino all’estremo sacrificio, la morte della carne.

            Riassumendo, possiamo dire di aver individuato nella conoscenza filosofica il motivo o un probabile motivo di perfezionamento da parte dell’uomo. Ma l’Uomo che si è perfezionato attraverso lo studio e l’applicazione della filosofia e che quindi sa cose che altri non sanno, come agisce nei confronti degli altri individui?

            Prima di rispondere a questa domanda è necessario aprire una parentesi. Metuschelah ( la coscienza deve morire in se stessa per fruttificare nel mondo materiale al fine di produrre l’abbondanza e l’armonia nelle terre degli uomini ) e Jered non sono due termini-concetto da leggere separatamente, ma bensì, uniti. In altri termini: il primo non ha possibilità di realizzazione senza il secondo. Non fosse altro che per la profonda simbiosi che li unisce. Questi due concetti sono  intimamente legati e noi attraverso la filosofia e Jered dobbiamo arrivare a Metuschelah. Infatti questo è il punto di arrivo, quello stato o situazione in cui essendo tutti liberi si potranno iniziare i “lavori” per l’edificazione dei templi e degli uomini più vicini all’armonia di quanto non lo siamo oggi. Uomini che abbiano la giusta componente di Sale, Mercurio e Zolfo, come ritenevano gli alchimisti rinascimentali.

            Tornando al nostro discorso principale, è arrivato il momento di rispondere alla domanda sul comportamento degli individui che sanno nei confronti di quelli che non sanno.

La risposta è più che ovvia in base al discorso fatto, i primi sentiranno il bisogno spontaneo di trasmettere la loro conoscenza e di aiutare l’altro perché l’armonia e la prosperità si possono raggiungere solo con la Fratellanza.

                Volendo insistere in senso esplicativo riguardo al concetto di fratellanza chiamerò in causa due concetti fondamentali: quello di GNOSI e quello di CONOSCENZA. Parlando di gnosi dobbiamo cercare di intenderne esattamente il significato in senso ermetico[4]. Così come è lecito supporre, la gnosi è un processo cognitivo assolutamente legato alla maturazione spirituale e psichica (  da Psyche = Soffio = Anima ) dell’individuo che spinto dal proprio equilibrio interiore, che è quindi presupposto, nuove la propria essenza  verso la cognizione di causa delle forze creatrici e verso la cognizione di causa della loro esteriorizzazione.  Si tratta, dunque, di un vero e proprio “moto planetario”, del proprio essere[5] votato alla “conquista” di ciò che è più sublime e raggiungibile.

Ma l’esercizio della gnosi è un punto d’arrivo, ed io stesso devo conoscere ancora chi può essere così esaltato e presuntuoso da affermare di essere Illuminato.

La gnosi, dunque, presuppone come suo attributo quello dell’individualità, e la rinascita dell’uomo è la rinascita dell’individuo.

Come si sposa la gnosi con la conoscenza?

La mia provocazione tende proprio ad esplicitare questo rapporto. Se conoscenza significa conoscere insieme ( da Co - Gnosco ), essa presuppone un fatto di coscienza. Ma la coscienza è in “verità” un fatto prettamente individuale. Se la conoscenza è un rapporto ed un incontro tra due o più coscienze, ciò significa che la crescita collettiva o di gruppo intorno agli stessi contenuti suppone un’interiorizzazione individuale dei medesimi contenuti; ogni vissuto è infatti il presupposto di un microcosmo individuale, di cui non può essere ignorata l’importanza all’interno dell’interiorizzazione stessa.

            Diciamolo allora: se chi è sulla strada della gnosi è sulla strada della rinascita, nell’estendere la propria esperienza al singolo come al gruppo, deve fare i conti con ogni vissuto, con ogni coscienza, con ogni microcosmo. Ma essendo questi attributi dell’individualità, avremo un conflitto tra ciò che tende al generale e ciò che è particolare. E’ qui che interviene il concetto delle Libertà dell’individuo. E’ qui che nasce l’esoterismo dei contenuti, il quale verte a valorizzare la scoperta e la conquista della gnosi da parte di ciascuno. Ma ciò non significa affatto che esso sia una realtà da mettere sotto sale. Tutt’altro: E’ con la divulgazione equilibrata e controllata che si da la possibilità a chi può di attingere ad un pozzo altrimenti invisibile. Se di libertà stiamo parlando, è allora lecito parlare di “libertà di possibilità”, che valorizzi il concetto stesso di rinascita; essendo legato al concetto di possibilità di rinascita.
            Combattere per la libertà significa, dunque, lottare per la possibilità di diventare UOMINI.
 
Michele Leone


[1]  Gioacchino da Fiore, Sull’Apocalisse, tr. it. e a c. di Andrea Tagliapietra, Feltrinelli, Milano 1994, pp.                                  131-133.
[2]  Possono essere di riferimento: 1) La Repubblica di Platone, 2) La città di Dio di Agostino, 3) La città del sole di Campanella, 4) Il Principe di Macchiavelli, 5) Utopia di More, 6) Il Leviatano di Hobbes, 7) Per la pace perpetua di Kant, 8) La Bibbia.
[3]  Giordano Bruno, Degli Eroici Furori, Laterza Bari-Roma, 1995.
[4]  Può essere interessante consultare il Pimandro, di Ermete Trismegisto.
[5]  Si vedano le concezioni della filosofia rinascimentale con i dovuti riferimenti alla filosofia tardo Egizia ( Platonica, Pitagorica, Ermetica ).

sabato 11 maggio 2013

Una particolare leggenda su Salomone, Balkis e Adonhiram PARTE V ed ultima


Nove maestri si posero, a tale effetto, in viaggio. Dopo diciassette giorni d'indagini, tre di essi ristettero, stanchi pel lungo cammino, nel luogo ove era stato seppellito Adonhiram, e, prendendo in mano il ramo d'acacia, lo strapparono dal suolo; onde pensarono che quella terra fosse stata smossa di fresco. I nove maestri si misero a scavare la terra; e un di loro sclamò: - Gli uccisori di Adonhiram furono per avventura compagni che volevano conoscere la parola di maestro, e dall'incorruttibile Adonhiram non poterono saperla; onde gli tolsero la vita. Cangiamo pertanto la parola di maestro; - e fu subito convenuto che la prima parola pronunciata scorgendo il cadavere, diverrebbe la parola d'ordine. Scopersero infatti il cadavere, e nell'atto di sollevarlo, l'epidermide staccava si dal corpo; sicché uno dei maestri esclamò: MACBENAHT (la carne si stacca dall'osso), e questa parola divenne la parola sacra, il grido dei vendicatori di Adonhiram.  L'assenza dei tre compagni, e gli strumenti del delitto, non aveva lasciato alcun dubbio sovra gli uccisori di Adonhiram, di cui il più vecchio, come il più colpevole, fu appellato Abibate (assassino del padre). Salomone, riunendo ancora i maestri, trasse a sorte nove di essi perché si recassero sulle tracce degli omicida. Il capo della spedizione fu Joaber. I nove maestri giunti a ventisette miglia da Gerusalemme, dalla parte di Joppa, presso una caverna chiamata Ben Acar, e collocata vicino al mare, scorsero gli uccisori e li inseguirono. Due di essi, fuggendo, si gettarono nei paduli, e vi perirono; e il terzo, in quella di essere raggiunto da Joaber, si diede la morte. I nove maestri ritornarono in Gerusalemme colle teste dei tre omicida, che presentarono a Solimano, il quale, a ricompensarli, diede loro il grado di eletti, e per segno di riconoscimento una sciarpa nera scendente dalla spalla sinistra al fianco destro con appesovi pugnale dall'aurea impugnatura. E' furono incaricati dell' ispezione generale de' lavori, e spesso raccolti in luogo segreto dal re per dar conto delle proprie azioni e porgere giudizio sovra qualche operaio colpevole.

 Ma gli uomini periscono, e i loro concetti, consegnati alla carta, alla tela od al marmo, non periscono. l lavoratori scompaiono, il lavoro resta; muoiono i combattenti. ma il frutto della vittoria matura a giusto tempo, e le generazioni vi attingono succhio rigeneratore. Nell'universale rapina delle cose e delle esistenze, la vita prosegue immortale il suo corso. Adonhiram non era più; e il delitto aveva profanate le soglie del tempio; ma l'opera era sorta, testimonio degli sforzi lunganimi di migliaia d'uomini, e marmorea pagina in cui migliaia di vite avevano scritto un ricordo. Non quietava Salomone; le passioni lo divoravano; e non pertanto s'accingeva, a compiere il mistico mandato, collocando in luogo recondito le leggi segrete di Mosè, e la scritta contenente il nome del grande Artefice dell'universo, quale era apparso a Mosè sul monte Orebbe, nel mezzo di un triangolo di fuoco; nome che l'universale ignorava, e che era pronunciato dal sacerdote una sol volta all'anno, perché  l'udissero solo i pochi che stavano intorno a lui, e non il popolo, a cui era imposto fare incondito rumore onde alle sue orecchie non pervenisse. Salomone aveva fatto costruire segretamente, nel sotterraneo più nascosto del tempio, una volta alla cui costruzione avevano atteso soltanto i maestri, e nel mezzo della quale egli aveva collocato un piedestallo triangolare, nomandolo il piedestallo della scienza. Si scendeva in questa volta mercè una scala di ventiquattro gradini distribuiti per 3, 5, 7 e 9. Però non sapendo quel che fosse accaduto del triangolo di Hiram lo fece rintracciare dai maestri; e tre di essi, guardando nel pozzo nell' ora del mezzogiorno, lo videro scintillare, e lo ricuperarono, portandolo a Salomone che vedendolo esclamò: Eloin (grazie a Dio). Accompagnato allora da quindici eletti e dai nove maestri che avevano costrutta la volta sacra, discese nel sotterraneo, e collocò il triangolo sul piedestallo della scienza, e lo coperse con agata tagliata in forma quadrangolare, sulla quale fece incidere, superiormente il nome di consueto usato ad esprimere Iddio, inferiormente le parole segrete della legge divina, e lateralmente le combinazioni cubiche delle parole sacre; onde ebbe nome di pietra cubica. Dinnanzi al tripode fece collocare tre lampade con nove fiamme, ciascuna ardente di luce perpetua. In appresso Salomone prescrisse di nuovo agli eletti l'antica legge, che vietava di pronunciare il vero nome del grande Artefice dell'universo; impose loro giuramento di segreto; e fece impiombare la porta della volta di cui solo i ventisette eletti e i loro successori conobbero l'esistenza; i quali dopo la morte di Salomone continuarono a governarsi secondo le leggi d'Adonhiram e vegliarono alla conservazione del tempio.
G. DE CASTRO

venerdì 10 maggio 2013

Una particolare leggenda su Salomone, Balkis e Adonhiram PARTE IV


Adonhiram chiede in quella udienza dal re per ottenere da lui congedo. Solimano lo interroga sul paese ove vuole recarsi lasciando Gerusalemme:  “Desidero ritornare a Tiro, presso il buon re Hiram che mi mandò a voi.” Solimano gli concede piena libertà d'azione, e con regia ipocrisia gli professa amore. Nullameno Adonhiram deve, prima della partenza, distribuire la paga agli operai. Solimano lo interpella sovra Amru, Fanor e Metusael: “Sono - risponde Adonhiram - operai che vorrebbero avere, non meritandolo, titolo e salario di maestro. Però io mi opposi alle loro domande. " Solimano congeda Adonhiram, e richiama i tre compagni. E' loro annuncia che Adonhiram si ritira, e saggi unge : .. Parecchi maestri sono morti, a cui convien sostituire dei nuovi. Questa sera, dopo il pagamento, recatevi a trovare Adonhiram e chiedetegli di essere iniziati al grado di maestri. Se ve lo accorda, se vi accorda la sua fiducia, avrete pure la mia. Se ve lo rifiuta, domani comparirete con lui dinanzi a me; udrò giustificare da lui il proprio rifiuto; udrò le vostre discolpe; e pronuncerò tra voi e lui, a meno che Dio non abbandoni Adonhiram, e non sveli in qualche guisa di avere ritirata da lui la celeste protezione”
Adonhiram e la regina Saba si disgiungono, ma per riunirsi tra breve. La regina dice allo sposo: “Siate due volte felice, mio signore e mio padrone: alla vostra schiava tarda l'ora· di congiungersi per sempre a voi; e voi ritroverete con essa in Arabia un tenero frutto de' nostri amori ch'ella ora reca nel seno”.  Adonhiram spiccasi commosso dalle braccia di colei che sente di amare ancor più dopo quelle parole, dopo la dolce promessa di un figlio.
Solimano, informato d'ogni cosa dai perfidi delatori, vuole affrettare il matrimonio colla regina di Saba. Apprestata sontuosa cena, dopo il banchetto la prega di cedere al suo amore. Balkis versa spumante vino nella coppa di Solimano, che lo tracannò sperando trovare in esso l'audacia di violentare la regina; e già crede aver tocca la meta, poiché vide altresì Balkis tracannare il liquore che, circolando nelle vene, le accende d'insolita fiamma, e riarde, possente stimolo, i sensi. Ma la regina, che veglia sovra se medesima, finge di bere per ingannare Solimano; e quand'egli è assopito, gli toglie l'anello datogli da lei in pegno di fede, e rapidamente s'allontana. Un cavallo arabo è pronto alle porte di Gerusalemme, sul quale ella varca i confini del regno, ed è condotta nella regione di Saba ad attendervi Adonhiram.
Ma Adonhiram, ponendo il piede nel tempio per la porta d'occidente, incontrò Metusael che gli chiese la parola di maestro, e avendone rifiuto, lo colpì al capo col martello. Adonhiram vacilla, ma ricordandosi che porta sospeso al petto il triangolo d'oro, sul quale sono scritte le leggi segrete di Mosè e il vero nome del grande Artefice dell' universo, quello che apparve a Mosè sul monte Orebbe, e volendolo scampare dalle mani colpevoli, lo getta nel pozzo collocato nell' angolo d'oriente; indi si trascina verso la porta del nord ove Fanor gli aggiusta un secondo mortal colpo, dopo avergli chiesto invano la parola di maestro. Adonhiram cerca salvezza recandosi verso la porta d'oriente; ma Amru, che è là, gli grida: - Se vuoi passare dammi la parola di maestro. - Giammai, risponde Adonhiram, e Amru gli immerge il compasso nel cuore. Adonhiram fu morto. Gli assassini ne avvilupparono il cadavere in un ampio tappeto di pelle bianca, lo trasportarono sovra una solitaria collina, e lo seppellirono, piantando Metusael un ramo d'acacia nella terra smossa. Da sette giorni Adonhiram era scomparso, e il popolo si adunava minaccioso chiedendo giustizia; ma la giustizia, il re complice dell'assassinio, non poteva né amare né desiderare; ed in quei primi giorni un solo pensiero gli stava nella mente, quello di Balkis scomparsa; sicché maledisse il gran sacerdote e il suo dio Adonai. Ma il profeta Ahia di Silo rappresentò a Solimano che l'omicida di Caino fu punito sette volte, e l'omicida di Lamech settanta volte sette, e che colui che ha versato il sangue di Caino e di Lamech sarebbe punito settecento volte sette: onde grande terrore nell'anima di Salomone, che per rimuovere da sé la condanna, ordina si cerchi, e, trovato, si onori il cadavere d'Adonhiram.

mercoledì 8 maggio 2013

Una particolare leggenda su Salomone, Balkis e Adonhiram PARTE III

Ho due minuti e ne approfitto per postarvi la 3 e non ultima parte della leggenda :)


Tubalcain introdusse Adonhiram nel santuario del fuoco, ove è venne sponendogli la debolezza d'Adonai e le basse passioni di questo Dio, nemico della sua medesima creatura ch'egli condannò a inesorata legge di morte, onde vendicare i benefici 'che i geni del fuoco sparsero su lei. Adonhiram è condotto alla presenza dell'autore della sua schiatta, di Caino. L'angelo di luce che generò Caino si specchia nella stupenda bellezza di questo figlio dell'amore; la cui nobile e generosa indole inasprisce la gelosia d'Adonai. Caino narra ad Adonhiram sue vicende, sue colpe, sue virtù, sue sciagure, delle quali ultime Adonai è fattore implacabile. Poco dopo Adonhiram ode la voce di colui che nacque dagli amori di Tubalcain e di sua sorella Noema.  “Un figlio ti nascerà che a te non sarà dato vedere, ma la cui numerosa prole perpetuerà tua stirpe. La tua razza, superiore a quella di Adamo, acquisterà l'impero del mondo; per molti secoli consacrerà suo coraggio, suo genio a pro dell'ingrata schiatta adamitica; ma per ultimo i migliori diverranno i più forti, e restaureranno sulla terra il culto del fuoco. I tuoi figli, nel nome tuo invincibili, distruggeranno il potere dei re, ministri della tirannide d'Adonai. Va, figlio mio, i geni del fuoco sono con te". Adonhiram è restituito alla terra. Tubalcain, che volle accompagnarlo, nello spiccarsi da lui riconforta con nuovi argomenti il di lui animo, e gli porge il martello onde egli operò memorabili cose, e gli dice: Il Mercé il martello che ti affido, e mercé l'aiuto dei geni del fuoco, in breve compirai l'opera lasciata a mezzo a cagione della stoltezza e della malizia degli uomini". Adonhiram non tarda a sperimentare meravigliosa efficacia del prezioso strumento; e la nuova alba vide la gran massa di bronzo consolidata. L'artista n'ebbe gioia ineffabile; l'amante esultò. il popolo accorse, incredulo e sgomento di quell'arcano potere che aveva, in una notte, riparato ogni cosa e foggiato un liquido bollente in un capolavoro. La regina di Saba, a cui, pe' contrasti, l'affetto era venuto crescendo nell'anima, ne fu lieta come di propria insperata fortuna. Un giorno ella passeggiava, accompagnata dalle ancelle, fuori delle mura di Gerusalemme; e s'avvenne in Adonhiram, solo, pensoso, che cercava luoghi deserti per sottrarsi alle ovazioni della folla. Quell' incontro fu fatale; si svelarono reciprocamente l'amore. Hud-Hud, l'uccello che adempie presso la regina Saba ufficio di messaggere dei geni del fuoco, e che sempre si chiarì avverso a Solimano, vedendo Adonhiram disegnare nell'aria il mistico T, volteggia sul suo capo e si posa sopra il suo pugno. A questo indizio, Sarahil, la nutrice della regina, sclama: - L'oracolo è compiuto Hud-Hud riconobbe lo sposo che i geni del fuoco destinano a Balkis, il solo di cui possa senza delitto accogliere l'amore.
Non esitano più; e reciprocamente si giurano fede; e studiano insieme in qual modo Balkis può ritrarre la parola data al re. Adonhiram s'allontanerà per il primo da Gerusalemme. Poco dopo la regina, impaziente di congiungersi a lui in Arabia, ingannerà la vigilanza di Solimano. Ma i tre compagni, il cui tradimento non ebbe riuscita pel provvido soccorso dei geni  del fuoco, e che spiano ogni passo di Adonhiram per vendicarsi di lui, scoprono il segreto dei suoi amori. Eglino chiedono parlare a Solimano. Amru gli dice: "Adonhiram cessò di venire nei cantieri, nelle officine e negli opifici.” - Fanor soggiunge: "Verso la terza ora di notte scorsi un uomo dirigersi verso le tende della regina, e riconobbi Adonhiram.” - Metusael esclama:” Allontanatevi, compagni, il re deve solo udire quanto sto per dirgli .”  Rimasto solo con Solimano, Metusael prosegue: .. Profittando delle ombre della notte io potei mescolarmi agli eunuchi della regina, e scorsi Adonhiram introdursi da lei, e quando me ne fuggii di là, poco prima dell'alba, egli si trovava ancora presso di lei .”  Solimano sente l'acuto morso della gelosia e propone mitigarla come sogliono i vili. Chiama il gran sacerdote Sadoc, e con lui s'abbocca consultandolo intorno al modo col quale vendicarsi del felice rivale.

martedì 7 maggio 2013

Una particolare leggenda su Salomone, Balkis e Adonhiram PARTE II


...Il re si studia scemare quell' affetto, apprestando umiliazione e ruina al rivale, giovandosi di tre operai invidi di lui, semplici compagni ai quali mai non venne fatto, negandolo il giusto Adonhiram, divenir maestri, perché d'ingegno manchevole e di scarsa volontà. Fanor si chiama l'uno, ed è sirio, muratore; Amru si chiama l'altro, ed è falegname e di stirpe fenicia; Metusael si appella il terzo, minatore ed ebreo. La cupa invidia dei tre procaccia che mal riesca la imminente fusione del mare di bronzo, che deve condurre al colmo la gloria dell'architetto e dell' artista. Un giovane operaio, per nome Benoni, una di quelle anime schiette e devote che l'arcana provvidenza delle cose pone sempre a fianco degli uomini virtuosi e infelici, scopre il tranello e lo svela, credendo basti, a Solimano, del tranello partecipe. Il giorno della fusione è giunto: e Balkis è presente. Le dighe che trattenevano il bronzo liquido sono tolte, e torrenti di fuso metallo precipitandosi nel vasto bacino in cui deve plasmarsi il mare di bronzo. Ma il liquido ardente soverchia i lembi del bacino e come lava scorre nell' aperta campagna. La folla atterrita fugge raggiunta dal fiume di fuoco. Adonhiram, calmo siccome un Dio, spinge contro le ignee onde poderosa colonna d'acqua per contenerle ; ma non gli riesce il disegno. L'acqua ed il fuoco si mischiano, ed è lutta formidabile; l'acqua si scioglie in denso vapore, e ricade in forma d'ignea pioggia sul capo della moltitudine, e sparge lo spavento e la morte. L'artefice disonorato ha d'uopo di versare in un petto fedele la propria ambascia; e cerca Benoni, ma lo chiama invano. Il prode garzone perì tentando prevenire quell' orrenda catastrofe, allorché poté accertarsi che Solimano nulla aveva fatto per impedirla. Adonhiram non può spiccarsi dal teatro della sua sconfitta. Oppresso dal dolore, non pone mente al pericolo, non pensa che quell'oceano di bronzo può d'ora in ora inghiottirlo; egli pensa alla regina di Saba, venuta colà per ammirarlo, per salutare un gran trionfo, e che ha assistito ad un gran disastro. Ad un tratto. Ode strana voce, uscente dall'imo abisso, chiamarlo tre volte: - Adonhiram, Adonhiram, Adonhiram! - Alza gli occhi, e scorge gigantesca forma umana senza riscontro con quanti corpi umani popolano il mondo. Quell' apparizione gli muove incontro e gli dice: - Vieni, figlio mio, t'accosta senza tema; io t' ho fatto incombustibile, e puoi, senza periglio, gettarti tra le fiamme - Adonhiram si slancia nella fornace, e nel fuoco, ove altri troverebbe morte, gusta delizie ineffabili, né sa, trattenuto da ignota forza, partirsene, e chiede a colui che seco lo reca negli abissi: - Ove mi trai?  - Nel centro della terra, nell' anima del mondo, nel regno del gran Caino, ove con lui regna la libertà. Qui ha fine la gelosa tirannide d'Adonai; qui noi possiamo, sprezzando sua ira, gustare i frutti dell'albero della scienza; qui è la patria dei tuoi padri - Chi sono io dunque; e chi sei tu? - Io sono il padre dei tuoi padri; sono il figlio di Lamech e il nipote di Caino; sono Tubalcain.

Una particolare leggenda su Salomone, Balkis e Adonhiram PARTE I

 
PREMESSA
 
 
Non seguendo l'opinione di molti amici (come sempre), ho deciso di "pubblicare" questa leggenda su Salomone ed Hiram. Questa leggenda si trova all'interno di uno dei IX volumi de "il mondo secreto" di G. DE CASTRO (non dico il volume per stuzzicare i curiosi a trovarlo) pubblicati a Milano da Daelli e C. nel 1864 e che nei prossimi mesi verranno ripubblicati per i 150 anni dalla prima stampa da Mondi Velati Editore di cui sono il modesto curatore.  Questa leggenda può essere letta a più livelli, come semplice storia o con contenuti profondi o addirittura esoterico-reazionari; in altri termini si può leggere in modo letterale, morale, allegorico o anagogico. I buoni di sempre cambiano ruolo, le passioni ed i sentimenti rendono umani personaggi spesso dipinti in altro modo e la genealogia di Hiram pesa come macigno e si vivifica in un brano di questa leggenda che oggi sarebbe definito fantasy, che qualcuno  potrebbe descrivere come visione e qualcun' altro come puro insegnamento misterico. Il mio punto di vista in questa sede non è importante; spero che anche voi possiate restare affascinati da questa storia e vi possa spingere a cercare i vari significati e le vare versioni. 
Una storia per tutti, quasi la trama di una telenovela o di un film d'azione, ma che tutti i così detti esperti della materia(soprattutto gli “scozzesi”) dovrebbero conoscere nei suoi sviluppi di cui troppo spesso per superficialità ignorano anche i fondamentali. Pubblicherò a "puntate" questa leggenda per non creare un unico post di dimensioni chilometriche.
Se qualcuno volesse pubblicare, copiare ed incollare la leggenda non dimentichi di citarne l'autore che non è il sottoscritto ma G. DE CASTRO.
Nella speranza che le prossime righe possano incuriosire qualcuno ed essere utili a qualcun altro vi ringrazio ed auguro
buona lettura 
Michele Leone
P.S. La leggenda è ancora nella sua forma ottocentesca e con alcuni inevitabili refusi in quanto ancora in forma di bozza, spero non me ne vogliate.
 
Salomone, Balkis ed Adonhiram
 
 
Questo gigante, figlio d'un mito che non è più inverosimile di quelli onde ribocca il romanzo biblico, ed è per avventura di non pochi d'essi più poetico, operò prodigi. Per lui cento cinquantamila operai, sorvegliati da tremila e trecento ufficiali, distribuiti in tre classi (novizi, compagni e maestri), con parola d'ordine per riconoscersi, eressero meraviglioso edificio, di cui ancora si vedono le immani fondamenta, al quale pose mano, come a poema architettonico, cielo e terra. Egli elevò porte di cento cubiti di marmo bianco coperte di lastre d'oro, e con fregi aurei a mo' di grappoli d'uva squisitamente lavorati e sì massicci che sol trecento uomini potevano levarli. Egli eresse il tremo di Salomone di :fino oro con mirabile industria cesellato, e fece molte altre opere esimie, che in tutte le arti era valente e provetto. Melanconico nella sua grandezza, egli viveva solitario, da pochi compreso, da pochissimi amato, odiato da moltissimi, ed altresì da Salomone, invidioso della sua gloria e del suo genio. Or ecco che la fama della sapienza di Solimano Ben Daud (Salomone) si sparse: fino ai più remoti confini della terra; e Balkis, regina di Saba, venne a Gerusalemme per salutare il gran re e contemplare le meraviglie del suo regno. Ella trovò Salomone assiso sovra trono di cedro dorato, vestito di stoffa aurea, sicché a primo tratto le parve vedere statua d'oro con mani d'avorio; ma Solimano le mosse incontro, e rendendole onore con ogni maniera di festose accoglienze, subito la condusse a vedere suo palazzo, indi le grandiose opere del tempio; e la regina non si stancava d'ammirare. Il re fu preso dalle bellezze di lei, e il fuoco de' suoi sguardi gli penetrò sì dentro che in breve la richiese in sposa, e Balkis, lieta d' aver domato quel cuore superbo, gli concesse sua mano. Però, visitando il regio palazzo, e ammirando a parte a parte i lavori del tempio, quante volte chiedeva il nome dell' artefice che aveva operato tante e sì grandi cose, il re le rispondeva: - È desso un cotale - Adonhiram, uomo singolare e di cupa indole, che mi fu mandato dal buon re che governa sovra i Tiri - Balkis chiede che Adonhiram le venga presentato: e Solimano procaccia rimuoverla da tale idea; ma facendole vedere i vasi e le statue e le colonne, e parlandole del mare di bronzo che sta per essere fuso, la regina gli chiede: - Chi ha erette quelle colonne? Chi cesellati quei vasi? Chi scolpite quelle statue? Chi fonderà il mare di bronzo? E Solimano deve risponderle: - Adonhiram - La regina desidera vederlo; e il re deve consentirglielo. L' artefice misterioso condotto dinanzi la regina, e leva su lei l'ardente sguardo onde ella si sente commossa nel profondo del cuore. Racquistata la calma, ella lo interroga e lo difende dalle accuse che la malevolenza e la nascente gelosia di Solimano gli muovono; e chiedendo di vedere l'innumerevole milizia di lavoratori che attendono all' opera del tempio, e pretestando Solimano l'impossibilità di riunirli ad un tratto, Adonhiram sale sopra un macigno per essere da lungi veduto, e levando la diritta mano segna nell' aria il T simbolico; e accorrono da tutte parti operai, ubbidienti ad ogni suo cenno, esercito schierato a battaglia; del che la regina meraviglia grandemente, e si pente della promessa data a Solimano, perché già accesa d'amore pel solingo e possente artefice.
 


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