domenica 23 agosto 2015

Nota: Letteratura, Storia e i Maestruncoli

E’ necessario ritornare alle fondamenta, alle basi prima ancora di procedere. “Letteratura e Storia”, sono i capisaldi imprescindibili di buona parte della conoscenza. Il genio l’estro, “l’essere illuminati”, non sono plausibile giustificazione per dire, per ergersi al di sopra di una presunta massa di scolaretti pronti a bersi ogni amenità. Il genio e l’illuminazione in una disarticolata esposizione, che inciampa sui “fondamentali”, contribuisce a rendere fenomeni da baraccone poco credibili molti dei così detti portatori di conoscenze esoteriche (per usare una parola abusata e violentata al punto da renderla termine).
Spesso a quattro conoscenze raffazzonate e rubate qui e là si aggiunge una sorta di miopia, corretta con i paraocchi che non permette di vedere al di la del proprio naso. In ultimo, forse la peggiore delle malattie, che spesso è sorella dell’ignoranza, l’intolleranza a volte manifestata in una sorta di intransigenza, indisponibilità al dialogo, al cambiare punto di vista e via dicendo.
Questa non è una filippica e di certo non mi arrogo qualità migliori della maggior parte dei curiosi. Sono l’ignoranza e la sete il mio punto di partenza quotidiano. Non posso però, non auspicare che queste parole da un lato vengano rese migliori da chi è più capace di me dall’altro possano inaspettatamente se non curare la miopia quantomeno togliere i paraocchi e far riflettere i troppi Mestruncoli.
Se è vero che no esistono istituzioni scolastiche che promuovano ed aiutino certi studi (forse non possono esistere in Italia) è altrettanto vero che quanti si muovono ed operano negli ambiti del così detto esoterismo dovrebbero se non per formazione, per inclinazione “non fermarsi alla prima cantina”, essere indomiti cercatori, interrogare ed interrogarsi senza sosta, viaggiare tra molteplici discipline e saperi. Quindi come comportasi, come agire? Innanzi tutto non fidarsi dei Mauestruncoli, prestare orecchio a tutti, perché molti anche inconsciamente/involontariamente sono portatori di conoscenza. Questa è una parte minima, fondamentale è come da esordio di queste poche righe il ritorno alla “Letteratura e Storia”, le letterature siano esse scientifiche o umanistiche sia poesia o matematica non fa differenza da dove si parte se si vuole giungere al compimento dell’essere. Non bisogna dimenticare di essere sempre apprendenti sia nella vita che nella ricerca. Il giorno in cui il fuoco sacre che arde cede il posto al compiacimento ed all’arroganza (nel senso di attribuirsi ciò che non spetta, e nella alfa privativa va in netta opposizione con il senso di chi è sulla Via, a-rogare [interrogare, domandare]). Non si può a solo titolo di esempio di Alchimia, Ermetismo, Gnosi o scuole iniziatiche senza aver mai neppure sfogliato un bignami di filosofia, un riassunto della Storia delle Religioni, un libro di storia ecc.
Per oggi può bastare, ma vi è una ultima considerazione. Vi è una Via, un modo dell’essere e della conoscenza che travalica tutto questo: l’Amore.
Gioia – Salute – Prosperità
© Michele Leone
Immagine presa dalla rete Arcimboldo, il bibliotecario 1566


P.s. Altrove dedicherò spazio agli effetti nocivi del parlare a vanvera e del come questo faccia nascere aberrazioni e permetta ai detrattori di certi studi di avere vita comoda e facile. 


giovedì 20 agosto 2015

Il girotondo incantato dell’essere. La macabra danza

Poi come di incanto, si la vita è un incanto un incantesimo che alle volte va preservato nella sua sacra magia ed alle alla guisa di catene, indipendentemente che tengano legati al cielo od alla terra,  a volte da spezzare,  non sempre può esservi dolcezza. Incantamento che può sorgere all’improvviso, una immagine, una nota, un ricordo, un’emozione non giustificabile razionalmente o un sorriso ed allora girando il caleidoscopio dell’esistenza, dei rimandi e delle liti tra conscio, inconscio, ego e il sorriso altro non è che la falce della danza macabra portata da Sorella, Madre, Amante Morte. Una falce pronta a raccogliere quanto si è seminato e bionde le chiome od il grano si equivalgono.
Millenni di stratificazioni, sono difficili da destrutturare per far nascere, ri-nascere l’essere che è custodito in ognuno di noi. E l’operazione è assai simile che si tratti di analisi, alchimia o “giochi” più seri. Non si può non essere “homo ludens”, diffidiamo da coloro che non sanno sorridere e da quanti ritengono il gioco qualcosa da fanciulli. Solo giocando e danzando sul filo di un rasoio o su di un prato in una fresca notte d’estate dopo la pioggia si può pregare la vera Preghiera. Non gli dèi dei padri, prima di pregare bisognerebbe purificarsi e ricercarsi e spesso le parole troppo fragili termini non possono esprimere la virilità di una degna giaculatoria a Maria, Iside o Sofia. Le immagini che senza sosta dovrebbero emergere ed immergersi dalla e nella coscienza, spesso sono troppo recenti ed abusate, una sola è l’ultima vera strada, l’ultimo e primo vero linguaggio, la vibrazione. In alternativa si può provare con l’amore.
Gioia – Salute – Prosperità
© Michele Leone
P.S. Le parole che possono essere riferite alla psicologia, sono usate non in senso psicologico o psicanalitico.

Immagini prese dalla rete (danze macabre)




sabato 15 agosto 2015

Di Ermete Trismegisto al figlio Tat, “discorso segreto” sulla montagna relativo alla rigenerazione e sulla regola del Silenzio*

Riporto di sotto un estratto, dei frammenti, di uno dei libri meno noti del Corpus Hermeticum attribuito ad Ermete Trismegisto. Se Pimandro ed Asclepio sono i testi più noti, la cui lettura è imprescindibile per quanti vogliano studiare le Scienze Ermetiche o la Filosofia, il “discorso segreto” è tra i trattati meno conosciuti. Un trattato di una importanza capitale per i contenuti, in questa sede non ho la possibilità di renderlo per intero con un adeguato commento e parafrasi. Riporto testualmente così come presente nella edizione da cui lo cito, probabilmente la migliore edizione esistente in Italia. I frammenti qui riportati, sono stati scelti per integrare il discorso sul silenzio e sul segreto che da tempo porto avanti. Quanto sotto riportato, quindi, va a riprendere il discorso sul silenzio iniziato altrove e vuole sottolineare la sua importanza. Vi sono degli accenni alla purificazione e generazione, ai vizi ed alle virtù e cosa più importante l’inno e la “sua prassi operativa” alla rigenerazione.
1 “Nelle lezioni generali, padre mio, hai parlato per enigmi e tutt’altro che chiaramente, discorrendo dell’attività divina. Non hai rivelato nulla, asserendo che nessuno può essere salvato prima della rigenerazione, ma quando io ti supplicai, durante la discesa dalla montagna, dopo il tuo dialogo con me, quando ti interrogai sulla dottrina della rigenerazione per apprenderla, poiché, tra tutto, è l’unica cosa che non so, tu affermasti che me l’avresti trasmessa quando io fossi stato in procinto di rendermi estraneo al mondo. Ora io sono pronto: ho fortificato il mio pensiero sottraendolo all’inganno del mondo. Tu, per parte tua, insegnami anche quello che mi manca per ottenere la pienezza della sapienza, secondo la promessa di insegnarmi il processo della rigenerazione, a viva voce o segretamente: io non so Trismegisto, da quale matrice sia nato l’Essere umano, e da quale semenza”.
2 “Figliolo, si tratta della Sapienza intelligente nel silenzio, e la semenza è il vero Bene”. “Ma chi è che ha seminato, padre mio? Perché non saprei proprio dirlo”. “Il volere di Dio, figliolo”. “E che caratteristiche ha la creatura generata, padre mio? Poiché non può avere parte alla sostanza che è in me”. “La creatura generata sarà diversa, sarà un dio figlio di Dio, un tutto nel Tutto, costituito da tutte le Potenze”. “Mi stai presentando un enigma, padre mio: non stai parlando come un padre al figlio”. Le verità di questo tipo, figliolo, non si possono insegnare, ma è Dio stesso a farle ricordare, quando vuole”.
[…]
 “La prima punizione è proprio questa ignoranza; la seconda è l’afflizione; la terza è l’incontinenza; la quarta la concupiscenza; la quinta l’ingiustizia, la sesta lo spirito di sopraffazione, la settima l’inganno, l’ottava l’invidia, la nona la frode, la decima è la collera, l’undicesima è l’avventatezza, la dodicesima è la malvagità. Queste punizioni sono dodici, ma subordinate ad esse ve ne sono altre ancora più numerose, figliolo, le quali, attraverso quella prigione che è il corpo, costringono l’uomo interiore a soffrire per mezzo dei sensi. Esse invece si allontanano, quantunque non in massa, dall’uomo che è oggetto della misericordia di Dio, e in questo consiste la modalità ed il senso della rigenerazione. 8 Sul resto io tacerò, figliolo, e serberò un religioso silenzio: in virtù di questo, la misericordia non cesserà di discendere da Dio su di noi… Rallegrati comunque, figlio mio, purificato come sei dalle potenze di Dio, per l’unione delle membra del Logos.
[…]
“Io desidero udire, padre mio, e voglio comprendere tutte queste cose!”.
16 “Calmati, figliolo, e ascolta ora l’armonica lode, l’inno della rigenerazione, che io non avevo intenzione di rivelare così facilmente, se non a te alla fine di tutto. Perciò questo inno non può essere insegnato, bensì viene tenuto nascosto nel silenzio. Quindi, figliolo, mettiti fermo in piedi da qualche parte a cielo aperto, e, rivolgendo il volto al vento meridionale, al momento del tramonto del sole, prostrati in adorazione, e similmente fa al levarsi del sole, rivolgendoti verso il vento orientale. Zitto ora, figlio mio.
[…]
21 “Padre mio,  anche nel mio cosmo ho **”. “<<In quello intellegibile>>, devi dire, figliolo”. “Si, padre: in quello intellegibile: posso. In virtù del tuo inno e della tua lode, il mio intelletto è stato illuminato. Tanto più desidero anche io offrire, dalla mia propria mente, una lode a Dio”. “Non in modo sconsiderato, però, figliolo”. “Io dico, o padre, quello che contemplo nell’intelletto: <<A te principio generatore dell’opera della generazione, a te Dio, io, Tat, offro sacrifici spirituali [logikaí]. O Dio, tu Padre, tu Signore, tu l’Intelletto, accogli da me le offerte spirituali che desideri. E’ grazie alla tua volontà, infatti, che tutto si compie>>”.
“Tu, figliolo, offri un sacrificio ben accetto a Dio, padre di tutti gli esseri. Ma aggiungi anche figlio mio: <<Per mezzo del Logos>>”.
22 “Ti ringrazio, padre mio, di questi tuoi consigli per la mia preghiera (?)”. “Mi rallegro, figliolo, poiché hai raccolto i buoni frutti della verità, prodotti immortali. Avendo appreso, questo da me, promettimi il silenzio a riguardo a questo potere miracoloso [areté], senza rivelare a nessuno, figlio mio, la trasmissione della rigenerazione, affinché non siamo annoverati tra i divulgatori. Ciascuno di noi due, comunque, è stato impegnato a sufficienza, io a parlare, e tu ad ascoltare. Tu ti sei conosciuto intellettivamente, e hai conosciuto anche il nostro Padre”.
Gioia – Salute – Prosperità
© Michele Leone
* Da Corpus Hermeticum, Edizione e commento di A.D. Nock e A.J. Festugière, Edizione dei testi ermetici copti e commento di I. Ramelli, R.C.S., Milano 2005

Immagini prese dalla rete. Il segno di Arpocrate nei dipinti delle volte della galleria degli specchi di Versailles



domenica 9 agosto 2015

Siva, la tradizione segreta, la montagna e la gnosi.

“Ora che l’umanità è quasi tutta fissata in concezioni di carattere dualistico, bisogna che la tradizione segreta non si interrompa”. Questo si proponeva il supremo Siva, allorché un giorno, mosso dal desiderio di soccorrere gli uomini, si chinò grazioso sopra Vasugupta in sogno e ne dischiuse l’intuizione. “Su questa montagna, in una grande roccia, è custodito l’insegnamento segreto. Dopo averlo penetrato manifestalo a quelli che sono atti a ricevere la grazia”. Vasugupta, risvegliatosi, si mise in cerca sino a che giunse al cospetto di questa grane roccia la quale, a conferma del sogno, al solo tocco della mano ruotò su se stessa. In questo modo entrò in possesso degli Sivasutrà, compendio delle dottrine segrete di Siva. Dopo averli penetrati fino in fondo li rivelò ai suoi degni discepoli, primo tra tutti Bhatta Kallata, e li riassunse nelle Spandakarika. (Vasugupta, Sivasutra, con il commento di Ksemaraja, trad. it. intr. e commento di Raffaele Torella, Ubaldini Editore, Roma 1979)
Se sostituissimo i nomi, che per l’occidente sono esotici con nomi più vicini al nostro immaginario, non sarebbe difficile far passare questo testo per un racconto medievale o anteriore. La vicinanza con lo Mazdismo o lo Gnosticismo possono essere evidenti. Questa, è solo una ipotesi, quasi un gioco. Il “mito” della montagna e di una o più pietre con su incisi, comandamenti, aforismi, epigrammi ecc., non è cosa nuova come non lo è la ricerca dell’unità che trascende i movimenti dualistici. Se i simboli della pietra e della montagna sono simboli Archetipici, senza voler entrare in questa sede nel significato attribuito al simbolo o a ciò che è archetipico è importante rilevare un elemento comune a molte culture, elemento che soprattutto in occidente e nella decadente cultura contemporanea è il grimaldello dei detrattori delle scienze ermetiche: il segreto.
            Il segreto, quello della Tradizione è un segreto che per sua natura non può essere svelato ma, al massimo tramandato. Coloro che sono chiamati a detenerlo, gli eletti, nel senso di scelti, hanno tutti superato delle prove od hanno delle determinate caratteristiche psichiche o animiche a seconda del vocabolario o della formazione culturale di riferimento. Detenere il segreto, che per estensione è segreto iniziatico, impone la sua penetrazione. Per penetrare il Segreto sono necessarie la coscienza, la consapevolezza, l’unione di quanto è frammentato nell’individuo (altrove tornerò a più riprese sul rapporto “erotico” tra maschile e femminile). Solo dopo aver compreso e compenetrato il segreto si assume una seconda obbligazione tradizionale, che non è come molti immaginano la sua custodia, ma piuttosto la sua trasmissione.
            Che si volga lo sguardo ad Oriente o ad Occidente, che si guardino le stelle o le profondità della coscienza/anima degli uomini, il segreto che si rischia di scoprire è così destabilizzante, che non può essere una via seguita dai più.
            In questi ultimi decenni, forse per coloro che camminano la Via, sono diminuiti i pericoli ma, per certo sono aumentate le difficoltà e le distrazioni.
Gioia – Salute – Prosperità
© Michele Leone

Immagini prese dalla rete




domenica 2 agosto 2015

Nota 0.1 sulla interpretazione dei testi ermetici Parte 1


Quando si affronta la lettura di un qualunque testo in generale e di un testo ermetico in particolare bisognerebbe porre particolare attenzione al senso, al significante ed al significato. Bisognerebbe anche, con la giusta dose di pazienza ed entusiasmo interrogarsi non solo sul cosa volesse dire l’autore ma anche e soprattutto evitare di leggere con gli occhi della propria epoca e cultura. So che per molti quanto sto per dire sarà noioso ed inutile.
Gli strumenti di base, sono quelli della normale interpretazione di un testo narrativo o poetico come ad esempio l’analisi dei livelli:
•          Tematico
•          Strutturale
•          Sintattico
•          Lessicale
•          Metrico
•          Fonico
•          Stilistico
Basta questa analisi? È questo il lavoro che bisogna compiere quando ci troviamo innanzi ad un testo ermetico? No! La stessa natura di ermetico con il suo riferimento ad Hermes, ci impone di affrontare lo studio con l’ermeneutica, sia chiaro che l’ermeneutica in questo contesto è e resta uno degli strumenti da utilizzare e non lo strumento o il fine ultimo. La vicinanza ad Hermes, seguendo una forzosa etimologia rimanda inevitabilmente a Sarama ed al viaggio dei morti dai un lato e alla comunicazione con gli dei dall’altro. L’ermeneutica, l’interpretazione e la ricerca del senso vanno collocate come uno dei momenti della ricerca e della com-prensione, da certi punti di vista è parte dell’Apprendistato ed estremizzando è l’Apprendistato. E’ necessario prendere a, oltre a prendere e com-prendere è indispensabile collocare nella giusta posizione quanto colto. Se nel Rinascimento da un lato si è lavorato per comprendere e dare il giusto senso delle cose dall’altro si è accettato senza critica (o quasi) un mondo magico che veniva da lontano.
Sono conscio della apparente confusione di quanto sto dicendo e di come possa apparire illogico questo discorso sia agli occhi degli appassionati di esoterismo tout court sia agli onesti storici del pensiero dalle prospettive limitate. Sarebbe forse più corretto accontentare gli accademici o far sognare di pittori della domenica? Dei due nessuno, ma se è fatto un obbligo, allora, forse, bisogna acquisire delle accademie le qualità. Non era forse scritto innanzi all’Accademia non entri nessuno che non sia Geometra? Un tempo, non così lontano, scienza e sapienza non erano distanti. La dicotomia, la grande frattura è opera recente, il dramma mai compreso (sino in fondo) è che è segno di involuzione e non di evoluzione. Occorre l’obbligo, di ricomporre questa frattura. E’ necessario togliere i paraocchi che ormai sono sia degli eruditi che degli iniziati e riprendere il dialogo. Per poter dialogare è necessario intendersi e la fragilità della parola divenuta termine è purtroppo l’unico strumento possibile. E’ necessario ridare senso e virilità alle parole, è necessario accertarsi che non vi siano fraintendimenti e spogliare dalle sovrastrutture semantiche o psicologiche, dieri animiche, le parole per essere certi che nella nudità vi sia la comune comprensione. La conquista, la terra inesplorata è la radura dell’essere per alcuni, mentre lo scopo è la necessaria relazione tra l’essere e quanto è in relazione con esso. Le coordinate cartesiane dello spazio e del tempo in questa relazione sono una parte spesso forviante della ricerca e dell’analisi. L’essere nel suo interagire con le molteplici forme ed essenze che trova nella sua ricerca, sul suo sentiero che non è interrotto, si evolve riducendo lo scarto tra esserci ed apparire. Le apparenze alla guisa delle ombre di Platone prima e di Bruno poi sono i fantasmi della coscienza. Le apparenze, governate dall’ignoranza, portano alla credenza e alla creazione di una differenza tra naturale e sovrannaturale. Differenza che non esiste, figlia di quella dicotomia che serve a generare finte certezze ed a rasserenare gli spiriti morti o moribondi di una società (civiltà) estinta senza essersene resa conto.
E’ necessario leggere e rileggere, far proprio un testo. Non a caso le antiche corporazioni di mestiere le scuole iniziatiche facevano, apparentemente, imparare a memoria i propri rituali. Non era una questione di segretezza come spesso si è tentati di credere. Assimilare, far proprio, apprendere, era questo il senso e non va confuso con il recitare ripetutamente una frase o preghiera che ha scopo e finalità diverse.
Il lavoro è lungo: “Pensiamo ancora una volta all’interpretazione d’un testo. Non appena scopre alcuni elementi comprensibili, l’interprete abbozza un progetto di significato per l'insieme del testo. I primi elementi significativi si manifestano soltanto a condizione che ci si disponga alla lettura con un interesse più o meno determinato. Comprendere la “cosa” che sorge là, davanti a me, altro non è che elaborare un primo progetto, che verrà in seguito corretto, mano a mano che la decifrazione progredisce. Questa descrizione è evidentemente solo una sorta di “abbreviazione”, poiché il processo è ben più complicato: prima di tutto, senza la revisione del primo progetto, non c’è nulla per costituire le basi di un nuovo significato; in secondo luogo, ma anche al tempo stesso, progetti discordanti ambiscono a formare l’unità di significato, fino a quando si abbozza la “prima” interpretazione per sostituire i concetti presunti con concetti più adeguati. Heidegger ci descrive proprio questa perpetua oscillazione delle mire interpretative, cioè la comprensione come il processo di formazione di un progetto nuovo. Colui che procede così, rischia sempre di cadere sotto la suggestione dei suoi propri abbozzi; egli corre il rischio che l’anticipazione, che si è preparata, non sia conforme alla cosa. Il compito costante della comprensione risiede nell’elaborazione di progetti autentici e proporzionati all’oggetto della comprensione. In altri termini, si tratta qui di un colpo di audacia, il quale attende di essere ricompensato da una conferma proveniente dall’oggetto. Ciò che si può qui qualificare come oggettività non potrebbe essere altro che la conferma di un’anticipazione nel corso stesso dell’elaborazione di quest’ultima. Come renderci conto, infatti, che un’anticipazione è arbitraria e non proporzionata al suo compito, se non mettendola in presenza della cosa, la quale, sola, può dimostrare la sua vanità? Ogni interpretazione di un testo deve dunque iniziare con una riflessione dell’interprete sulle proprie idee preconcette, risultanti dalla “situazione ermeneutica” in cui egli si trova. Egli deve legittimarle, cioè  ricercarne l’origine e il valore.”[1]
Per oggi può bastare… to be continued
Gioia – Salute – Prosperità
© Michele Leone
Immagini prese dalla rete. Andrea Mantegna: Parnaso e Correggio: Danae







[1] H. G. Gadamer, Il problema della conoscenza storica, trad. it. di G. Bartolomei, Guida, Napoli, 1969, pagg. 79-82

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