domenica 2 agosto 2015

Nota 0.1 sulla interpretazione dei testi ermetici Parte 1


Quando si affronta la lettura di un qualunque testo in generale e di un testo ermetico in particolare bisognerebbe porre particolare attenzione al senso, al significante ed al significato. Bisognerebbe anche, con la giusta dose di pazienza ed entusiasmo interrogarsi non solo sul cosa volesse dire l’autore ma anche e soprattutto evitare di leggere con gli occhi della propria epoca e cultura. So che per molti quanto sto per dire sarà noioso ed inutile.
Gli strumenti di base, sono quelli della normale interpretazione di un testo narrativo o poetico come ad esempio l’analisi dei livelli:
•          Tematico
•          Strutturale
•          Sintattico
•          Lessicale
•          Metrico
•          Fonico
•          Stilistico
Basta questa analisi? È questo il lavoro che bisogna compiere quando ci troviamo innanzi ad un testo ermetico? No! La stessa natura di ermetico con il suo riferimento ad Hermes, ci impone di affrontare lo studio con l’ermeneutica, sia chiaro che l’ermeneutica in questo contesto è e resta uno degli strumenti da utilizzare e non lo strumento o il fine ultimo. La vicinanza ad Hermes, seguendo una forzosa etimologia rimanda inevitabilmente a Sarama ed al viaggio dei morti dai un lato e alla comunicazione con gli dei dall’altro. L’ermeneutica, l’interpretazione e la ricerca del senso vanno collocate come uno dei momenti della ricerca e della com-prensione, da certi punti di vista è parte dell’Apprendistato ed estremizzando è l’Apprendistato. E’ necessario prendere a, oltre a prendere e com-prendere è indispensabile collocare nella giusta posizione quanto colto. Se nel Rinascimento da un lato si è lavorato per comprendere e dare il giusto senso delle cose dall’altro si è accettato senza critica (o quasi) un mondo magico che veniva da lontano.
Sono conscio della apparente confusione di quanto sto dicendo e di come possa apparire illogico questo discorso sia agli occhi degli appassionati di esoterismo tout court sia agli onesti storici del pensiero dalle prospettive limitate. Sarebbe forse più corretto accontentare gli accademici o far sognare di pittori della domenica? Dei due nessuno, ma se è fatto un obbligo, allora, forse, bisogna acquisire delle accademie le qualità. Non era forse scritto innanzi all’Accademia non entri nessuno che non sia Geometra? Un tempo, non così lontano, scienza e sapienza non erano distanti. La dicotomia, la grande frattura è opera recente, il dramma mai compreso (sino in fondo) è che è segno di involuzione e non di evoluzione. Occorre l’obbligo, di ricomporre questa frattura. E’ necessario togliere i paraocchi che ormai sono sia degli eruditi che degli iniziati e riprendere il dialogo. Per poter dialogare è necessario intendersi e la fragilità della parola divenuta termine è purtroppo l’unico strumento possibile. E’ necessario ridare senso e virilità alle parole, è necessario accertarsi che non vi siano fraintendimenti e spogliare dalle sovrastrutture semantiche o psicologiche, dieri animiche, le parole per essere certi che nella nudità vi sia la comune comprensione. La conquista, la terra inesplorata è la radura dell’essere per alcuni, mentre lo scopo è la necessaria relazione tra l’essere e quanto è in relazione con esso. Le coordinate cartesiane dello spazio e del tempo in questa relazione sono una parte spesso forviante della ricerca e dell’analisi. L’essere nel suo interagire con le molteplici forme ed essenze che trova nella sua ricerca, sul suo sentiero che non è interrotto, si evolve riducendo lo scarto tra esserci ed apparire. Le apparenze alla guisa delle ombre di Platone prima e di Bruno poi sono i fantasmi della coscienza. Le apparenze, governate dall’ignoranza, portano alla credenza e alla creazione di una differenza tra naturale e sovrannaturale. Differenza che non esiste, figlia di quella dicotomia che serve a generare finte certezze ed a rasserenare gli spiriti morti o moribondi di una società (civiltà) estinta senza essersene resa conto.
E’ necessario leggere e rileggere, far proprio un testo. Non a caso le antiche corporazioni di mestiere le scuole iniziatiche facevano, apparentemente, imparare a memoria i propri rituali. Non era una questione di segretezza come spesso si è tentati di credere. Assimilare, far proprio, apprendere, era questo il senso e non va confuso con il recitare ripetutamente una frase o preghiera che ha scopo e finalità diverse.
Il lavoro è lungo: “Pensiamo ancora una volta all’interpretazione d’un testo. Non appena scopre alcuni elementi comprensibili, l’interprete abbozza un progetto di significato per l'insieme del testo. I primi elementi significativi si manifestano soltanto a condizione che ci si disponga alla lettura con un interesse più o meno determinato. Comprendere la “cosa” che sorge là, davanti a me, altro non è che elaborare un primo progetto, che verrà in seguito corretto, mano a mano che la decifrazione progredisce. Questa descrizione è evidentemente solo una sorta di “abbreviazione”, poiché il processo è ben più complicato: prima di tutto, senza la revisione del primo progetto, non c’è nulla per costituire le basi di un nuovo significato; in secondo luogo, ma anche al tempo stesso, progetti discordanti ambiscono a formare l’unità di significato, fino a quando si abbozza la “prima” interpretazione per sostituire i concetti presunti con concetti più adeguati. Heidegger ci descrive proprio questa perpetua oscillazione delle mire interpretative, cioè la comprensione come il processo di formazione di un progetto nuovo. Colui che procede così, rischia sempre di cadere sotto la suggestione dei suoi propri abbozzi; egli corre il rischio che l’anticipazione, che si è preparata, non sia conforme alla cosa. Il compito costante della comprensione risiede nell’elaborazione di progetti autentici e proporzionati all’oggetto della comprensione. In altri termini, si tratta qui di un colpo di audacia, il quale attende di essere ricompensato da una conferma proveniente dall’oggetto. Ciò che si può qui qualificare come oggettività non potrebbe essere altro che la conferma di un’anticipazione nel corso stesso dell’elaborazione di quest’ultima. Come renderci conto, infatti, che un’anticipazione è arbitraria e non proporzionata al suo compito, se non mettendola in presenza della cosa, la quale, sola, può dimostrare la sua vanità? Ogni interpretazione di un testo deve dunque iniziare con una riflessione dell’interprete sulle proprie idee preconcette, risultanti dalla “situazione ermeneutica” in cui egli si trova. Egli deve legittimarle, cioè  ricercarne l’origine e il valore.”[1]
Per oggi può bastare… to be continued
Gioia – Salute – Prosperità
© Michele Leone
Immagini prese dalla rete. Andrea Mantegna: Parnaso e Correggio: Danae







[1] H. G. Gadamer, Il problema della conoscenza storica, trad. it. di G. Bartolomei, Guida, Napoli, 1969, pagg. 79-82

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