Quando
si affronta la lettura di un qualunque testo in generale e di un testo ermetico
in particolare bisognerebbe porre particolare attenzione al senso, al
significante ed al significato. Bisognerebbe anche, con la giusta dose di
pazienza ed entusiasmo interrogarsi non solo sul cosa volesse dire l’autore ma
anche e soprattutto evitare di leggere con gli occhi della propria epoca e
cultura. So che per molti quanto sto per dire sarà noioso ed inutile.
Gli
strumenti di base, sono quelli della normale interpretazione di un testo
narrativo o poetico come ad esempio l’analisi dei livelli:
• Tematico
• Strutturale
• Sintattico
• Lessicale
• Metrico
• Fonico
• Stilistico
Basta
questa analisi? È questo il lavoro che bisogna compiere quando ci troviamo
innanzi ad un testo ermetico? No! La stessa natura di ermetico con il suo
riferimento ad Hermes, ci impone di affrontare lo studio con l’ermeneutica, sia
chiaro che l’ermeneutica in questo contesto è e resta uno degli strumenti da
utilizzare e non lo strumento o il fine ultimo. La vicinanza ad Hermes,
seguendo una forzosa etimologia rimanda inevitabilmente a Sarama ed al viaggio
dei morti dai un lato e alla comunicazione con gli dei dall’altro. L’ermeneutica,
l’interpretazione e la ricerca del senso vanno collocate come uno dei momenti
della ricerca e della com-prensione, da certi punti di vista è parte dell’Apprendistato
ed estremizzando è l’Apprendistato. E’ necessario prendere a, oltre a prendere
e com-prendere è indispensabile collocare nella giusta posizione quanto colto.
Se nel Rinascimento da un lato si è lavorato per comprendere e dare il giusto
senso delle cose dall’altro si è accettato senza critica (o quasi) un mondo
magico che veniva da lontano.
Sono
conscio della apparente confusione di quanto sto dicendo e di come possa
apparire illogico questo discorso sia agli occhi degli appassionati di
esoterismo tout court sia agli onesti
storici del pensiero dalle prospettive limitate. Sarebbe forse più corretto
accontentare gli accademici o far sognare di pittori della domenica? Dei due
nessuno, ma se è fatto un obbligo, allora, forse, bisogna acquisire delle
accademie le qualità. Non era forse scritto innanzi all’Accademia non entri
nessuno che non sia Geometra? Un tempo, non così lontano, scienza e sapienza
non erano distanti. La dicotomia, la grande frattura è opera recente, il dramma
mai compreso (sino in fondo) è che è segno di involuzione e non di evoluzione. Occorre
l’obbligo, di ricomporre questa frattura. E’ necessario togliere i paraocchi
che ormai sono sia degli eruditi che degli iniziati e riprendere il dialogo.
Per poter dialogare è necessario intendersi e la fragilità della parola
divenuta termine è purtroppo l’unico strumento possibile. E’ necessario ridare
senso e virilità alle parole, è necessario accertarsi che non vi siano
fraintendimenti e spogliare dalle sovrastrutture semantiche o psicologiche,
dieri animiche, le parole per essere certi che nella nudità vi sia la comune
comprensione. La conquista, la terra inesplorata è la radura dell’essere per
alcuni, mentre lo scopo è la necessaria relazione tra l’essere e quanto è in
relazione con esso. Le coordinate cartesiane dello spazio e del tempo in questa
relazione sono una parte spesso forviante della ricerca e dell’analisi. L’essere
nel suo interagire con le molteplici forme ed essenze che trova nella sua
ricerca, sul suo sentiero che non è interrotto, si evolve riducendo lo scarto
tra esserci ed apparire. Le apparenze alla guisa delle ombre di Platone prima e
di Bruno poi sono i fantasmi della coscienza. Le apparenze, governate dall’ignoranza,
portano alla credenza e alla creazione di una differenza tra naturale e sovrannaturale.
Differenza che non esiste, figlia di quella dicotomia che serve a generare
finte certezze ed a rasserenare gli spiriti morti o moribondi di una società
(civiltà) estinta senza essersene resa conto.
E’
necessario leggere e rileggere, far proprio un testo. Non a caso le antiche
corporazioni di mestiere le scuole iniziatiche facevano, apparentemente,
imparare a memoria i propri rituali. Non era una questione di segretezza come
spesso si è tentati di credere. Assimilare, far proprio, apprendere, era questo
il senso e non va confuso con il recitare ripetutamente una frase o preghiera
che ha scopo e finalità diverse.
Il lavoro è lungo: “Pensiamo
ancora una volta all’interpretazione d’un testo. Non appena scopre alcuni
elementi comprensibili, l’interprete abbozza un progetto di significato per
l'insieme del testo. I primi elementi significativi si manifestano soltanto a
condizione che ci si disponga alla lettura con un interesse più o meno
determinato. Comprendere la “cosa” che sorge là, davanti a me, altro non è che
elaborare un primo progetto, che verrà in seguito corretto, mano a mano che la
decifrazione progredisce. Questa descrizione è evidentemente solo una sorta di
“abbreviazione”, poiché il processo è ben più complicato: prima di tutto, senza
la revisione del primo progetto, non c’è nulla per costituire le basi di un
nuovo significato; in secondo luogo, ma anche al tempo stesso, progetti
discordanti ambiscono a formare l’unità di significato, fino a quando si
abbozza la “prima” interpretazione per sostituire i concetti presunti con
concetti più adeguati. Heidegger ci descrive proprio questa perpetua
oscillazione delle mire interpretative, cioè la comprensione come il processo
di formazione di un progetto nuovo. Colui che procede così, rischia sempre di
cadere sotto la suggestione dei suoi propri abbozzi; egli corre il rischio che
l’anticipazione, che si è preparata, non sia conforme alla cosa. Il compito
costante della comprensione risiede nell’elaborazione di progetti autentici e
proporzionati all’oggetto della comprensione. In altri termini, si tratta qui
di un colpo di audacia, il quale attende di essere ricompensato da una conferma
proveniente dall’oggetto. Ciò che si può qui qualificare come oggettività non
potrebbe essere altro che la conferma di un’anticipazione nel corso stesso
dell’elaborazione di quest’ultima. Come renderci conto, infatti, che
un’anticipazione è arbitraria e non proporzionata al suo compito, se non
mettendola in presenza della cosa, la quale, sola, può dimostrare la sua
vanità? Ogni interpretazione di un testo deve dunque iniziare con una
riflessione dell’interprete sulle proprie idee preconcette, risultanti dalla
“situazione ermeneutica” in cui egli si trova. Egli deve legittimarle,
cioè ricercarne l’origine e il valore.”[1]
Per oggi può bastare…
to be continued
Gioia – Salute – Prosperità
© Michele Leone
[1] H. G. Gadamer, Il problema della
conoscenza storica, trad. it. di G. Bartolomei, Guida, Napoli, 1969, pagg.
79-82
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