Le poche righe che
seguono sono preparatorie ad un lavoro più ampio. In questo momento, non vi è
volontà se non accidentale di indagare sull’idea di Parola e Silenzio nella Massoneria,
ma di iniziare a tentare di inquadrare il problema in uno spazio più ampio e
con uno sguardo critico. Ad esempio le righe che seguono e il discorso che
verrà vogliono indirizzare al non utilizzo del termine parola in contesti “iniziatico-esoterici”
e comunque in quelle valli ove l’intelletto si spinge verso l’essere. L’essere per il momento è
volutamente minuscolo in quanto è prematuro interfacciarci con l’ESSERE.
Dal vocabolario Treccani: paròla
s. f. [lat. Tardo parabŏla (v. parabola1), lat. Pop. *paraula; l’evoluzione di sign. Da
«parabola» a «discorso, parola» si ha già nella Vulgata, in quanto le parabole di Gesù sono le parole
divine per eccellenza]. 1. Complesso
di fonemi, cioè di suoni articolati, o anche singolo fonema (e la relativa
trascrizione in segni grafici), mediante i quali l’uomo esprime una nozione
generica, che si precisa e determina nel contesto di una frase.
Se mettiamo un attimo
da parte la definizione vediamo che la paròla è relativamente giovane e
mantiene la sua forza vitale nel senso della parabola, infatti originariamente
questo era il senso, ovvero, un insegnamento e nei secoli per estensione e
divenuta la parola che di per se è insufficiente a se stessa in quanto ha
bisogno di altre parole per completare e rendere esprimibile un pensiero.
Un sinonimo di parola,
ormai non più in uso, ma strategico ai fini di questo discorso è verbo. Soprattutto
se prendiamo le accezioni che ad esso si riferiscono non tanto alla grammatica,
che poco interesse ha in questo viaggio, ma quelle di verbo inteso come verbum o meglio come Logos. Per ora prendiamo il Logos in
quanto Logos e non disperdiamo energie nella differenza che ci potrebbe essere
tra quello Eracliteo e quello Giovanneo. Il dire, l’esprimere non già un
qualunque pensiero, ma l’essere deve essere necessariamente vincolato ad una
forma espressiva basata sul Logos. Questo dire, nasce da una riflessione che è
duplice. In primo luogo l’essere che si ripiega su se stesso scendendo nella propria interiorità (v.i.t.r.i.o.l.)
prima di ascendere e in secondo luogo l’essere che si rispecchia e rispecchia
quello che è e che non può essere diversamente. Questa è una delle motivazioni,
se non la motivazione per cui nelle scuole iniziatiche veniva e viene imposto
ai neofiti il silenzio. Essi non posso ancora staccarsi dalla materia (metalli)
e collegare il loro essere al Logos, sono impegnati nel re-flectere ed a quello struere,
di cui ho detto altrove, che li impegna nella fase di distruzione prima ancora che
di costruzione.
Michele Leone